copia di autoritratto di Rembrandt eseguita dall'autore |
Dante Fazzini
REMBRANDT
Il volto di lei era inondato da riflessi
di luce indiana, la guancia lambita da un riflesso diagonale che filtrava dalla fessura della finestra, sfiorava
l’orecchio e terminava sul minuscolo naso. I tratti di adolescente già presagivano che una donna,
superbamente bella, sarebbe sopravvenuta dopo alcune stagioni.
La bambina era la sua modella, stava ritta,
altera , ferma sul suo sgabello e si stagliava
netta dallo sfondo bituminoso del falansterio.
Quasi non respirava, una porcellana tra gli infiniti strumenti
dell’artista e la luce insieme al silenzio partecipavano come angeli alla
nascita di quel dipinto.
Rembrandt, avvolto
in un vestaglia di velluto, si muoveva
come se danzasse e la mano volteggiava
come un colibrì sulla tela. Ogni tanto
si fermava ad osservare quadro e modella da un angolo della stanza, lì vicino
una stufa approssimata, poco disponibile per l’inverno successivo, giaceva
sbilenca.
Un unico suono arrivava dalle scale, da dietro la porta : il
risolino del fratellino di Marieke. Sbirciava dalla fessura della porta
socchiusa e sghignazzava per distogliere la solerte modella.
Intanto, mentre una mosca ronzante attraversava l’aroma di
trementina, il pittore cominciò a sussurrare un motivetto, sottovoce, fischiettando
con un filo di alito una canzoncina.
Il canto sommesso a tratti si fermava, poi riprendeva e si
accentuava e magari cresceva pian piano, insieme alla soddisfazione che
l’artista svelava per l’esito del lavoro.
L’avambraccio del Maestro continuava a roteare ampio e nervoso
attraverso il suo prolungamento, e lasciava disperdere dalle setole fini,
grumi di
colore ocra.
Complice del maestro era la sua tavolozza, carica di
cangianti mescolanze, sapienti, passaggi di paste e materie essiccate, chissà
per quale opera servite.
Era già essa stessa un dipinto; la copertura della cassa
armonica delle sue visioni, della sua anima. Poi quel buco ovale… quello
per inserire il pollice, quel foro che
tanto incuriosiva i bambini, gli stessi bambini che animavano le vicine scale
in legno con i loro giochi, con il loro vociare.
Mariecke svolgeva il
suo compito diligentemente, ma la vispa curiosità di bambina riaffiorava. I
suoi grandi occhi azzurri percorrevano come magiche palline le pareti della
stanza con pause sugli scaffali e sulle mensole impolverate, si soffermavano su
di ogni oggetto. Di cose strane il Maestro ne aveva tante…dalle pale di suo
padre il mugnaio Harmen, agli oggetti
esotici e misteriosi, poi elmi lucenti da parata, turbanti ottomani, spade di
ogni foggia, animali impagliati di ogni genere, un pappagallo dalle lunghe
piume di colori vividi, un corno di narvalo comperato a Leida, teschi, tappeti
e molti libri.
La bimba poi tornava immobile, bastava che il maestro
accennasse un colpo di tosse che lei tornava statuina. Bussò alla porta il suo
allievo Gerrit. Appena entrato, il ragazzo lo salutò con riverenza, il Maestro
rispose e sorrise dando un ultimo sguardo al piccolo dipinto, poi lasciò
pennelli e tavolozza su una panca e si rivolse dolcemente a Marieke dicendole
che per oggi sarebbe bastato. La lasciò andare:
–
vai, prendi –
mettendogli per mano delle monete- e
torna domani alle dieci…ah, saluta la mamma e ringraziala per me.
–
ah! …ancora, dimenticavo che domani indosserai…vediamo,
vediamo, …beh ci penseremo domani..
–
buona giornata Signor Rembrandt, a domani allora.
La bimba, appena
socchiusa la porta, si precipitò gioiosa per le scale. Mariecke continuò la sua
corsa lungo il canale, arrestandosi solo di fronte la bottega del venditore di
dolci, sbirciò dentro la vetrina poi entrò; dalla manina bianca stretta a pugno
tirò fuori gli spiccioli sudati e ne uscì a bocca piena con le rosse labbra
inzuppate di panna. Poi i piccoli zoccoli in legno, si persero chiassosi nella
nebbia, lungo il mercato vociante dietro la cattedrale.
Gerrit Dou era uno
degli allievi più vicini a Rembrandt, aveva già frequentato la sua scuola per
cinque anni, ora collaborava con lui nell’atelier. Il maestro riceveva molte
commissioni ma i debiti che aveva contratto per l’acquisto nella nuova casa
sulla Breestraat, lo spingevano ad un incessante lavoro. Quel giorno Gerrit
indossò i panni dell’attore, il suo maestro lo portò in una stanza dove
troneggiava, poggiato al muro, un grande specchio; gli mise in mano un abito da
archibugiere e quando l’allievo tornò cambiato lo immobilizzò come modello, in
una stancante posizione, per diverse ore.
L’autunno del 1642
fu stagione di commissioni impegnative
e il maestro mobilitò la schiera dei suoi allievi. La
milizia di Amsterdam ordinò all’artista un ritratto di gruppo che celebrasse
in pattuglia notturna gli archibugieri
con in testa il loro Capitano Frans Banning Cocq.
I miliziani, nell’atto di mettersi in marcia, cominciarono
ad ordinarsi in drappello vociante e ancora scompaginato.
I modelli furono sistemati, secondo l’intenzione compositiva
del maestro, in modo da rappresentare un gradevole ed imponente effetto di
movimento.
Così pian piano, le figure si stagliarono dallo fondo scuro
della notte ed i volti fieri, luminosi e festanti si arricchirono poi di
luminescenze nei tessuti delle vesti da parata.
Poi l’abilità del grande pittore avrebbe acceso le luci
giuste sui costumi, creando spazio e predominanze dei personaggi, secondo il loro
ruolo. Tra loro, piccola e dorata, la figurina della vivandiera impersonata da
Mariecke, unica bambina tra soldati.
Rembrandt, stanco e
malandato, viveva ancora il dolore della recente morte della moglie Saskia.
Anni di gravidanze drammatiche, con morti premature, avevano minato il corpo
della giovane compagna e modella che nonostante tutto era riuscita con amore e
sacrificio a dargli un figlio, Titus.
Quell’anno, carico di problemi di ogni genere sembrava non
finisse mai; i committenti diminuivano e la sua fortuna cominciava a declinare.
Solo il rifugio del lavoro continuava ad instillare nel maestro un filo di
forza per vincere gli eventi avversi,. Continuava, lentamente, con tenacia, a
darsi una ragione per vivere. Il Genio e la sensibilità continuarono ad armare
le sue mani di luce e di colore.
Nel frattempo
l’erede del suo grande amore, Titus, fu affidato ad una nutrice ....
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