sabato 7 settembre 2013

copia di autoritratto di Rembrandt eseguita dall'autore
 
 
Dante Fazzini
 
 
REMBRANDT
 
 
 
Il volto di lei era inondato da riflessi di luce indiana, la guancia lambita da un riflesso diagonale che filtrava  dalla fessura della finestra, sfiorava l’orecchio e terminava sul minuscolo naso. I tratti  di adolescente già presagivano che una donna, superbamente bella, sarebbe sopravvenuta dopo alcune stagioni.

   La bambina era la sua modella, stava ritta, altera , ferma sul suo sgabello e si stagliava  netta dallo sfondo bituminoso del falansterio.

Quasi non respirava, una porcellana tra gli infiniti strumenti dell’artista e la luce insieme al silenzio partecipavano come angeli alla nascita di quel dipinto.

   Rembrandt, avvolto in un vestaglia di  velluto, si muoveva come se danzasse  e la mano volteggiava come un colibrì  sulla tela. Ogni tanto si fermava ad osservare quadro e modella da un angolo della stanza, lì vicino una stufa approssimata, poco disponibile per l’inverno successivo, giaceva sbilenca.

Un unico suono arrivava dalle scale, da dietro la porta : il risolino del fratellino di Marieke. Sbirciava dalla fessura della porta socchiusa e sghignazzava per distogliere la solerte modella.

Intanto, mentre una mosca ronzante attraversava l’aroma di trementina, il pittore cominciò a sussurrare un motivetto, sottovoce, fischiettando  con un filo di alito una canzoncina.

Il canto sommesso a tratti si fermava, poi riprendeva e si accentuava e magari cresceva pian piano, insieme alla soddisfazione che l’artista svelava  per l’esito del lavoro.

L’avambraccio del Maestro continuava a roteare ampio e nervoso attraverso il suo prolungamento, e lasciava disperdere dalle setole fini, grumi  di  colore ocra.

Complice del maestro era la sua tavolozza, carica di cangianti mescolanze, sapienti, passaggi di paste e materie essiccate, chissà per quale opera servite.

Era già essa stessa un dipinto; la copertura della cassa armonica delle sue visioni, della sua anima. Poi quel buco ovale… quello per  inserire il pollice, quel foro che tanto incuriosiva i bambini, gli stessi bambini che animavano le vicine scale in legno con i loro giochi, con il loro vociare.

  Mariecke svolgeva il suo compito diligentemente, ma la vispa curiosità di bambina riaffiorava. I suoi grandi occhi azzurri percorrevano come magiche palline le pareti della stanza con pause sugli scaffali e sulle mensole impolverate, si soffermavano su di ogni oggetto. Di cose strane il Maestro ne aveva tante…dalle pale di suo padre il mugnaio Harmen,  agli oggetti esotici e misteriosi, poi elmi lucenti da parata, turbanti ottomani, spade di ogni foggia, animali impagliati di ogni genere, un pappagallo dalle lunghe piume di colori vividi, un corno di narvalo comperato a Leida, teschi, tappeti e molti libri.

La bimba poi tornava immobile, bastava che il maestro accennasse un colpo di tosse che lei tornava statuina. Bussò alla porta il suo allievo Gerrit. Appena entrato, il ragazzo lo salutò con riverenza, il Maestro rispose e sorrise dando un ultimo sguardo al piccolo dipinto, poi lasciò pennelli e tavolozza su una panca e si rivolse dolcemente a Marieke dicendole che per oggi sarebbe bastato. La lasciò andare:

        vai, prendi  – mettendogli per mano delle monete-  e torna domani alle dieci…ah, saluta la mamma e ringraziala per me.

        ah! …ancora, dimenticavo che domani indosserai…vediamo, vediamo, …beh ci penseremo domani..

        buona giornata Signor Rembrandt, a domani allora.

  La bimba, appena socchiusa la porta, si precipitò gioiosa per le scale. Mariecke continuò la sua corsa lungo il canale, arrestandosi solo di fronte la bottega del venditore di dolci, sbirciò dentro la vetrina poi entrò; dalla manina bianca stretta a pugno tirò fuori gli spiccioli sudati e ne uscì a bocca piena con le rosse labbra inzuppate di panna. Poi i piccoli zoccoli in legno, si persero chiassosi nella nebbia, lungo il mercato vociante dietro la cattedrale.

  Gerrit Dou era uno degli allievi più vicini a Rembrandt, aveva già frequentato la sua scuola per cinque anni, ora collaborava con lui nell’atelier. Il maestro riceveva molte commissioni ma i debiti che aveva contratto per l’acquisto nella nuova casa sulla Breestraat, lo spingevano ad un incessante lavoro. Quel giorno Gerrit indossò i panni dell’attore, il suo maestro lo portò in una stanza dove troneggiava, poggiato al muro, un grande specchio; gli mise in mano un abito da archibugiere e quando l’allievo tornò cambiato lo immobilizzò come modello, in una stancante posizione, per diverse ore.

  L’autunno del 1642 fu stagione di commissioni impegnative

e il maestro mobilitò la schiera dei suoi allievi. La milizia di Amsterdam ordinò all’artista un ritratto di gruppo che celebrasse in  pattuglia notturna gli archibugieri con in testa il loro Capitano Frans Banning Cocq.

I miliziani, nell’atto di mettersi in marcia, cominciarono ad ordinarsi in drappello vociante e ancora scompaginato.

I modelli furono sistemati, secondo l’intenzione compositiva del maestro, in modo da rappresentare un gradevole ed imponente effetto di movimento.

Così pian piano, le figure si stagliarono dallo fondo scuro della notte ed i volti fieri, luminosi e festanti si arricchirono poi di luminescenze nei tessuti delle vesti da parata.

Poi l’abilità del grande pittore avrebbe acceso le luci giuste sui costumi, creando spazio e predominanze dei personaggi, secondo il loro ruolo. Tra loro, piccola e dorata, la figurina della vivandiera impersonata da Mariecke, unica bambina tra soldati.

   Rembrandt, stanco e malandato, viveva ancora il dolore della recente morte della moglie Saskia. Anni di gravidanze drammatiche, con morti premature, avevano minato il corpo della giovane compagna e modella che nonostante tutto era riuscita con amore e sacrificio a dargli un figlio, Titus.

Quell’anno, carico di problemi di ogni genere sembrava non finisse mai; i committenti diminuivano e la sua fortuna cominciava a declinare. Solo il rifugio del lavoro continuava ad instillare nel maestro un filo di forza per vincere gli eventi avversi,. Continuava, lentamente, con tenacia, a darsi una ragione per vivere. Il Genio e la sensibilità continuarono ad armare le sue mani di luce e di colore.

  Nel frattempo l’erede del suo grande amore, Titus, fu affidato ad una nutrice ....